Primi produttori in Europa, oltre 200 mila paia all’anno, 77 mila addetti e un export che compensa il drastico calo interno. Tutti i dati del settore calzaturiero italiano.
La tradizione italiana nel settore calzaturiero è consolidata e rappresenta una delle eccellenze in termini di qualità e di quantità in tutta Europa. Basti un dato eclatante: la produzione tricolore rappresenta più di un terzo di tutta quella europea (e la Spagna, seconda nel Continente, produce meno della metà delle nostre scarpe, 202 milioni noi nel 2013, 92 milioni il paese iberico, 75 milioni e mezzo il Portogallo).
Di tutte le scarpe prodotte in Italia, 148 milioni sono andare vendute fuori dai nostri confini.
Il fatturato 2013 italiano del settore calzaturiero è pari a 7,4 miliardi di Euro, con un incremento di quasi 5 punti percentuali rispetto al 2012.
Le scarpe pilastro della nostra economia
Il settore tessile-calzaturiero è secondo nella produzione manifatturiera nazionale soltanto a quello meccanico e anche i volumi di spesa relativi interni sono abbastanza elevati.
Se i dati pre crisi parlavano di un 9% del budget totale delle famiglie speso in abbigliamento e scarpe con una media U.E. poco oltre il 6%, nel 2013, dopo la grande crisi, le famiglie italiane spendevano al mese circa 109 Euro in scarpe e abbigliamento (circa il 4,6% del totale delle spese non alimentari, dati Istat).
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Distretti produttivi e attenzione a gusto e qualità
Le peculiarità italiana è avere un sistema produttivo con una grande tradizione alle spalle: i distretti del calzaturiero, la produzione artigianale e su misura accanto a quella su larga scala, i tanti brand del lusso.
Le imprese dello Stivale hanno in media pochi addetti (8 dipendenti, unendo calzaturiero e conciario, dato Istat 2002), si tratta quindi di aziende piccole ma va considerato che in generale l’Italia ha una struttura produttiva estremamente parcellizzata con una media di addetti per impresa bassa, pari a 3,9 lavoratori per azienda (dati Istat 2012); per fare un raffronto in Germania il numero medio degli addetti è 12,1.
77 mila addetti
I calzaturifici italiani sono oltre 5 mila (5119 a settembre 2014, dato Assocalzaturifici) e, nonostante la crisi abbia portato a dolorosi tagli e progressive riduzioni della forza lavoro negli ultimi anni, il settore dà impiego ancora a circa 77.500 persone.
Cambiano le metodologie di distribuzione: dal calzolaio al punto vendita monomarca
Ovviamente la congiuntura internazionale e la crisi si sono fatte sentire in particolare sui piccoli distributori. La tendenza ormai ventennale è quella della fine del negozio “di quartiere”, con la piccola bottega che fa riparazioni e vende pochi modelli sostituita dai grandi store e dai punti vendita monomarca, dove il produttore diventa anche distributore e bypassa l’intermediario potendo fare prezzi finali migliori.
Torna invece il mestiere di chi ripara le scarpe: così nei centri commerciali e nelle vie cittadine sono ricomparsi i calzolai, ma che semplicemente riparano senza essere venditori del prodotto. Un’antica competenza che i pochi soldi che circolano ha fatto prepotentemente ritornare.
L’export compensa i cali interni
La quantità riservata all’esportazione è estremamente rilevante, pari a circa l’85% del totale. Se guardiamo i dati 2003-2012 l’esportazione verso la U.E. è abbastanza stagnante e quella verso gli Usa in leggero calo mentre è cresciuta enormemente quella verso i paesi extra-U.E., in particolare Cina, Hong Kong, Russia e Medio Oriente (dati Ice).
I dati 2014 di Assocalzaturifici parlano di una ripresa nell’America settentrionale (con anche un ottimo +18% per gli Usa dove già dal 2010 continua la ripresa), di una flessione per la Russia a causa dei problemi politici noti (-15,5%), di un leggero progresso in alcuni paesi U.E. come Francia (+0,3%) e Germania (+1,8%) che per altro sono i primi due nostri mercati di esportazione.
L’apprezzamento dell’Euro non ha ulteriormente facilitato l’export che pure continua a sopperire al calo della domanda interna.